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Piero Bianucci
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Ferrarotti
15.09.2012

"La grappa alla vipera" di renato Scagliola

 

Piemonte Libri
Via San Tommaso 18, Torino

Sabato 15 settembre alle 17 sarò a PiemonteLibri, Torino, via San Tommaso 18 angolo via Bertola, per presentare il libro di Renato Scagliola "La Grappa alla vipera", Giancarlo Zedde Editore.

 

Le mie impressioni su questa "Grappa alla vipera"?

Eccole.

Una volta si andava a funghi, o per prati. Adesso si va su facebook o su youtube. Renato Scagliola di sicuro preferisce i funghi (bulé, o anche solo famiole, sui tajarin) e ancora di più i prati. Però se andate su youtube lo trovate. Naturalmente a sua insaputa, come adesso si usa dire. Cioè lui non ci è andato, su youtube, ma qualcuno ce l’avrà messo, visto che c’è.

Lo trovate insieme con i Cantambanchi, un gruppo folk innovativo e alternativo che ha fatto un gran bel lavoro a Torino e in Piemonte per tanti anni, dal 1969 in poi, e qualche volta lo fa ancora. Andate a sentirvi Là sota i portic d’Cuni, Los Indios de la Langa, Batista o La ballata energetica, pezzi ripresi da qualche programma della Rai di una volta (non ho trovato, ma ci sarà, su youtube, se no bisogna mettercela, Automobilesimo). Sarete sorpresi ora dalle sonorità inedite applicate a un pezzo tradizionale, ora dalla modernità di musiche e testi originali che sono forse più attuali oggi di quarant’anni fa. Bene, quei testi li scriveva Renato Scagliola, che poi li cantava anche, con gente come Giancarlo Perempruner (che purtroppo non c’è più), Franco Contardo, Laura Ennas e altri che per fortuna ci sono ancora.

Di Renato Scagliola è appena uscito il libro La grappa alla vipera, edito da Giancarlo Zedde, Torino, 224 pagine, 17 euro. Un seguito (non un sequel, per favore) di Osteria d’Oriente, ma con più anni addosso, e quindi più consapevole, forse anche un po’ più dolce e un po’ più amaro, secondo i momenti. Sono esplorazioni in quello spazio esiguo, ma senza limiti, che va dalle valli di Lanzo alle valli di Cuneo e dalle Langhe al Monferrato, sempre con il profilo del Monviso più o meno vicino, quella specie di marchio della Paramount, come mi fece notare una volta Ezio Giacobini, illustre neurofarmacologo che per trent’anni ha insegnato in varie Università americane e ora è all’Università di Ginevra, ma viene da Peveragno.

Nella prima pagina, prima riga, lui lo definisce “un portolano squilibrato, con storie di adesso e di tanti anni fa”. E’ così. Potete leggerlo un capitoletto dopo l’altro o anche aprirlo a caso e cominciare di lì, perché le storie sono brevi, e hanno un inizio e una fine in pochi paragrafi, ma quello che conta è il basso continuo, il ritorno di temi che non sono mai espliciti ma vengono fuori dalle cose, dai posti, dagli incontri. Ci sono pezzi struggenti, come quando si parla di Perempruner, pezzi insieme divertenti e pensosi, come quello su Fausto Amodei, pezzi esilaranti e crudeli, come la descrizione di un pic-nic di pasquetta (con grigliata, ovvio). Incontrerete dei vecchi e stravecchi che presidiano in pochi o da soli frazioni sperdute nelle montagne, visiterete osterie dove si mangia pane e formaggio, trattorie dai nomi meravigliosi (Tre Re, Re Magi, Stella d’oro, Dell’Angelo, I due cavalli) che talvolta di buono hanno ormai solo il nome, e qualche volta neppure quello, se l’hanno cancellato dal muro sbiadito e scritto sulla plastica o in una insegna al neon. C’è persino, a Saluzzo, un Albergo Luna e garage.

I filoni, come si usa dire, di questa miniera labirintica che ha dentro il disordine e la casualità della vita?

Uno è la nostalgia, che però dura poco e subito prende altre strade: qualche volta la malinconia, ma più spesso la rabbia, e la rabbia spesso produce una ironia sapiente, cattiva e insieme dissimulata, perché Scagliola sa bene che l’umorismo si fa con la faccia seria, altrimenti non fa ridere.

Un altro filone è quello degli amici, quelli che ci sono ancora e quelli che non ci sono più, e di questo qualcosa ho già detto. Poi c’è la natura, ora intatta ora violata, con le auto “parcheggiate in seconda fila anche se non c’è la prima”. Ci sono storie di muri, cose e persone. Straordinaria la scoperta e poi la ricerca che Renato Scagliola compie sulle tracce di suo antenato rimosso, Giovanni Battista Scagliola, classe 1911, quinto di sette figli, figlio di Secondo, fratello di suo nonno Giacomo e comandante partigiano detto Piero come nome di battaglia. Storia che ha lasciato traccia a Cisterna d’Asti, scenario dove agisce anche Adrian Alexander Hope, già ufficiale di missione inglese, paracadutato a Mombarcaro, professore di Lettere e filosofia, morto nove giorni prima della fine della guerra per un maledetto incidente, o, come si dice, sotto il fuoco amico. Ma nella bottiglia della “grappa alla vipera” (andate a vedervi questa storia, perché non la svelerò), ci sono soprattutto sensazioni raccontate con pudore. Odori e profumi, luci e penombre, ma più ancora suoni e silenzi, com’è logico per uno che ha sempre fatto musica, pur avendo un altro mestiere non meno sciagurato: giornalista, pensate un po’.

I suoni possono essere il vento tra le foglie, un muggito lontano, il rombo di una marmitta sgangherata. Suoni melodiosi e suoni incivili. Più importanti però sono i silenzi. Ho lavorato con Scagliola dai tempi della “Gazzetta del Popolo” in corso Valdocco (anni 60-70) fino a questo 2012 di spread e disperazione. Il più delle volte in reparti diversi, lui in cronaca, io in redazione, e allora ci si vedeva sì e no e sempre da lontano. Ma poi, per parecchi anni, insieme, a Tuttoscienze, gomito a gomito, faccia a faccia, tutti i giorni di tutti i santi mesi. Eppure non è che ci si parlasse poi tanto. Perché con Scagliola ti capisci a grugniti e mugolii meglio che con il vocabolario della Crusca. Come dice il proverbio, se la parola è d’argento, il silenzio è d’oro. Ma quando una parola esce, ed è quella giusta, fa piacere sentirla. Ti riconosci, e magari ti strappa un sorriso. In questo libro parole così ce ne sono tante.

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