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Appuntamenti

 

 

 

 

Piero Bianucci
I miei appuntamenti
Ferrarotti
15.03.2014

Il jazz di Cervo Bianco

 

Torino, Aula Magna di Anatomia, c. Massimo d'Azeglio 52, ore 18 e 21

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Concerto Jazz con

GRUPPO JAZZ DELL’ASSOCIAZIONE MUSICALE DEGLI STUDENTI UNIVERSITARI DEL PIEMONTE,
DIRETTO DA GIAN LUIGI PANATTONI:
STEFANO IVALDI, VIOLINO
CRISTIAN ZAMBAIA, BANJO E CHITARRA
ISABELLA RIZZO, CONTRABBASSO
GIAN LUIGI PANATTONI, BATTERIA
ELISABETTA PANATTONI, CANTO
INGRESSO LIBERO FINO A ESAURIMENTO POSTI

 

Cervo Bianco, fascino di un truffatore

 

Si spacciava per il capo indiano Cervo Bianco (Chief White Elk) e per il delegato della Lega delle Nazioni eletto in rappresentanza degli indiani d’America.

In realtà il suo nome era Edgar Laplante, nato a Pawtucket (Usa) il 16 marzo 1888.

 

Il Museo Lombroso ne conserva una casacca in pelle di daino con pantaloni a frange che nel 1924 gli permise di diventare molto popolare in Italia, ricevere onori dal regime fascista e truffare due contesse italo-austriache – madre e figlia, rispettivamente di 60 e 26 anni – che si erano invaghite di lui.

 

Il costume fu acquisito dal Museo Lombroso sotto la direzione di Mario Carrara, uno dei 14 docenti universitari italiani che si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo.

 

Edgar Laplante sosteneva di discendere per parte di madre da capi indiani canadesi. Dopo aver partecipato in America a spettacoli sul popolo indiano, nel 1922 sbarca in Inghilterra, dove si esibisce con successo.

Sposatosi sotto falso nome, ripara a Parigi e poi a Bruxelles. Intanto interpreta il film “La caravane vers l’Ouest” e compie un viaggio pubblicitario sul piroscafo “Cimarosa”, applaudito da folle entusiaste.

Da Diano Marina invia a Mussolini un telegramma per chiedergli un incontro a Roma, che ottiene. Non riuscirà invece a farsi ricevere da Pio XI, che però gli fa avere due fotografie firmate.

Il 24 ottobre interviene a una celebrazione della marcia su Roma che si tiene all’Odeon di Torino. Ma ormai è smascherato come truffatore e deve riparare in Svizzera. Qui lo raggiunge un mandato di cattura: aveva dilapidato più di un milione di lire sottratto alle contesse italo-austriache.

Finito in manicomio, una perizia lo descrive come “individuo psicopatico che rientra nel gruppo dei bugiardi e truffatori patologici”.

Il Tribunale di Torino sancisce che la vita del falso capo indiano “fu sempre informata al vagabondaggio, alle menzogne, alla simulazione, al falso reclamistico, alla avversione al lavoro, tendenze queste di delinquente abituale alla frode”.

Nel 1926 viene condannato alla reclusione “per anni 5, mesi 7 e giorni 15.”  Liberato nel 1932 per amnistia, se ne sono perse le tracce.

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